Ludovica Serafini (Collezionista /Architetto / Designer)
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Rossella Farinotti (Curatrice e Critico D’Arte). Rif. "Non sono io che amate, ma chi mi abita." The Ginger House Project.
- L’impatto è fuorviante, rimanda a un grande cartellone pubblicitario colorato e stratificato dai passaggi del tempo. Ma poi, la grande opera di Barbuto, affrontato il primo scrutare approfondito, è un macro-mondo di linguaggi, frammenti, forme e materiali che, sfogliandolo con lo sguardo, mostra anatomie, espressioni e gesti che richiamano elementi naturali, come foglie e dettagli di forme. O come curve dinamiche di paesaggi e movimenti del pensiero. L’artista affronta l’opera partendo da diversi livelli di grandi fogli colorati e assemblati l’uno sopra l’altro che, attraverso l’azione di una mano all’inizio incerta, timida, delicata, inizia, con energia, a strappare il superfluo, applicando un’azione diretta, netta, mai arrabbiata. Il gesto è sicuro, ma casuale, incontrollato. Come casuali e non controllate risultano queste forme attive. Così i gialli, i verdi, i blu, gli azzurri, i rossi e gli arancioni sbucano nell’insieme denso e vivido di questa grande opera a parete. "Non si ama un luogo ma chi lo abita", scrive Roger Munier. La casa è fatta da chi l’ha creata, vissuta, amata, odiata. La casa è lo spazio abitativo più intimo, raccolto, misterioso e personale: rappresenta quell’unico momento di pausa e di calore. Le pareti domestiche sono infatti il rifugio della vita passata, presente, o che verrà. L’opera di Barbuto realizzata per Ginger House parte proprio da qui, come sottolinea il titolo Non sono io che amate, ma chi mi abita. L’artista, attraverso la sua grande opera dalle tante sfaccettature, realizzata appositamente per lo spazio della casa di Porta Venezia, indica che le tracce che lasciamo nello spazio abitato rappresentano l’essenza viva di quel luogo. L’uomo che l’ha vissuta è la sua casa. Le pareti non contano, ciò che importa è il racconto delle storie consumate lì dentro, delle memorie, dei dolori, e delle gioie. Questo è casa.
Ivan Quaroni (Curatore e Critico d'Arte) Rif. "Joy lascia tutto". Folk tales. Galleria Area B.
- Una vena memoriale e malinconica affiora dalle sculture del giovane Raffaele Barbuto, che recupera materiali poveri e di scarto per costruire giocattoli dal sapore antico. Sono oggetti fuori uso, realizzati assemblando carte, tele, tessuti, legni e in seguito trattati con cera e pittura per conferire loro la patina del tempo. La loro funzione è quella di evocare ricordi sepolti nella memoria, di suscitare il desiderio di un'epoca trascorsa in cui i giochi rispec¬chiavano una diversa e più naturale concezione ludica. Areoplani, elicotteri, autobus e carri di Barbuto fanno parte di un progetto di eco-design intitolato Joy lascia tutto, una sorta di work in progress che, come afferma l'artista, "inten¬de riproporre il superamento del senso di antico con l'attualizzazione di oggetti di vita comune, usati, consumati e vissuti che ridonano al mondo il loro primario entusiasmo"[…]
Guido Folco (Gallerista e Direttore Museo MIIT) Rif. "IBCA" ZB Art Center e 33 Contemporary Gallery, Chicago.
- Raffaele Barbuto esplora l'universo nascosto della fantasia e della memoria realizzando dipinti e sculture in cui l'elemento della sovrapposizione cromatica e di materiali riveste un ruolo primario., Le opere del progetto di Eco-Design intitolato "Joy lascia tutto" prevedono l'utilizzo di materiali poveri o di scarto come pretesto reinterpretativo del giocattolo antico. Al di là della ricostruzione fedele di macchine, aeroplani, camion creati con collage, carta, plastica, l'elemento concettuale fondante sono il ricordo e la libera manipolazione della materia tipica dell'età infantile, un gioco che si fa arte, tra idea e tecnica. [...]
Luai Abukalam (Artista) Rif. “Scusate il disturbo”, Palazzo Isimbardi, Milano.
- Trovarsi al cospetto dei lavori di Barbuto è un’esperienza insolita, che costringe quasi ad una osservazione dinamica: ti muovi, abbassi lo sguardo, ti allontani, senti la spinta a guardare ancora. Ti ritrovi di fronte a qualcosa che suscita domande, fa sorgere il desiderio di avere l’autore accanto per domandargli cosa, come e perché? Ma l’arte, si sa, ispira domande a cui è spesso difficile dare risposte, e quelle che ci si da sono sempre (ovviamente) tutte giuste. L’invito è quello di non arrendersi alla facilità di uno sguardo frettoloso e a proseguire un viaggio a favore di una più profonda ricerca di senso. Non essere insofferenti davanti al non detto dunque, ma attendere con pazienza che le cose si rivelino, godendo della piacevole sensazione di evolvere con esse. Davanti alle sue opere si respira sempre una sensazione di quiete, un’ idea di sincerità priva di travestimento dove l’osservatore fa esperienza di un sentimento originario e puro, profondamente personale e umano. L’opera diventa leggibile solo attraverso la sua ciclicità che per l’artista rappresenta un ricongiungimento all’origine e mira a ripercorrere l’articolatissimo discorso sulla pittura e le sue finite ed infinite possibilità. Insomma non una “filosofia” ma un sorridente e soprattutto anti-intellettualistico sguardo alle origini come “chiusura del cerchio”, lontana da mediazioni logico-razionali. Una retroattività simbolica che si distingue chiaramente nella raffinata povertà della “fattura”, contribuendo a rendere l’opera viva e dunque mortale. Ecco quindi che le imperfezioni della materia risultano essere essenziali. Le superfici sporche, usurate, vecchie, danno una sensazione di provvisorietà ma anche, paradossalmente, di stabilità. Quella stabilità che sta nel perdurare, nel non finire, nel proseguire al termine di un ciclo ,un ciclo vitale nuovo, pronto ad indagare un altro spazio e un altro tempo [...]
Anna Vasilenko (Critico D’Arte). Rif. “Cantiere”, Assab/One, Milano.
- Barbuto già da qualche anno riflette sul passaggio del tempo: l'impronta del passato, la realtà trasformata, l'illusorietà ma anche una certa inevitabilità del futuro che insieme formano un mix avvincente […] La sua è una ricerca, non solo dell'aspetto visivo, ma anche di quello filosofico […] Come si conviene ad un bene astratto, ogni opera produce associazioni uniche, evocando immagini conosciute e famigliari che si sono perse nei meandri della memoria. Passato e futuro sono presenti nella realtà, nella sua incarnazione artistica, respirano un fiato e vivono nello stesso ritmo […]
Alberto Imbrogno (Collezionista).
- In un messaggio demoralizzante, fatto di ricordi che si vogliono rimuovere, terribilmente concreti e privi di aspettative, sono presenti all’orizzonte aperture, scherzi e provocazioni. Le narrazioni nascoste nelle opere sono molteplici e sottostanno ad una stessa identità di rinnovamento e di povertà. Il motivo che contrassegna tutte le opere di Raffaele Barbuto è il fugace ottenimento di divertimento e di libertà caratterizzato dalla sua visione del cambiamento[…]
Ivano Raba (Critico D’Arte) Rif. “Drive&Dream” FIAT Stefar, Venezia.
- Una realtà illusoria che diventa una forma imperfetta e intralciante dalla quale liberarsi, contrapponendo con coscienza critica, una superiore forma di saggezza: “il Gioco”. Una corrodente arguzia che, mossa lungo i binari della “finzione”, segnala la possibilità di un nuovo sfogo, tentando la strada del "nonsense" per condurre verso altri significati. Un’ idea di grandezza poco seria e in un certo senso fanciullesca, che conduce inconsapevolmente alla piena coscienza del proprio “Comico” rapporto con il mondo. Lo scambio tra esplicito ed implicito, e’ impiegato nel suo lavoro per spostare a proprio vantaggio le possibili interpretazioni, creando così una forma di “di-scomunicazione” usata come “Arma” pacifica per muoversi fra serietà e scherzo. Un pretesto utile ad abbandonare le rassicuranti (e spesso troppo comode) certezze della coscienza collettiva e l’adesione ad un pensiero meno strutturato.